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diventavano brillanti, addirittura disponibili a offrire
da bere a tutti, a rischio di diventare vittime di chi gh’ia
‘l vése da stà a róda; 119 altri, pensando alle già sperimen-
tate reazioni delle madri e delle mogli, avanzavano la
richiesta da fas cumpagnà a caza, 120 cosa assai poco esau-
dita per evitare l’accusa di complicità nella mala im-
presa; non mancava, nel melodramma, chi si metteva a
parlare in lingua italiana, cosa abbastanza strana per
gente di cultura esclusivamente dialettale, il che non
poteva che suscitare ilarità e un commento ironico: cal
lé ‘l g’à stüdiàt! 121
Ebbrezze occasionali non risparmiavano nem-
meno il mondo dei preti, soprattutto in occasioni di
pranzi nelle feste solenni o di congreghe tra confratelli.
In ambienti clericali si raccontava di quel predicatore
della sagra che, quale effetto speciale del lauto tratta-
mento ricevuto alla mensa parrocchiale, in procinto di
impartire la solenne benedizione dei vespri, si trovò da-
vanti, con sorpresa, ben tre ostensori, il che gli fece con-
fidare non senza apprensione all’incolpevole
sacrestano: «Dóro, mé ‘n vède tri!». 122 Il fedele sacrista,
che in materia non mancava di esperienza, gli rispose
rassicurante: «Lü ‘l ciàpe chèl an mès! I ótre du al ia làse fa
da lur!». 123
Tutto ciò succedeva a Offanengo in tempi non lon-
119 Il vizio di chi approfitta per scroccare senza ritegno la disponibilità di una per-
sona.
120 Farsi accompagnare a casa.
121 Costui ha studiato!
122 Doro, io ne vedo tre.
123 Lei prenda quello che sta al centro, gli altri due li lasci perdere.
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