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nelle sue espressioni patologiche e nemmeno nei suoi
effetti di emarginazione o di delapidazione delle risorse
familiari che facevano dire alla gente Tance ‘l na ciàpa,
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tance ‘l na bif. Ci inoltriamo, piuttosto, in quel contesto
di benevola indulgenza e di simpatica accettazione, che
la nostra gente riservava alle cióche di circostanza, come
quelle che seguivano i pransi da spùze, i dé da la sàgra, la
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merenda dal tèc e che venivano commentate dalla gente
con un: Al g’à fac na strüecàda. Appropriandoci del ti-
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tolo del celebre film di Ermanno Olmi, abbiamo tutti
conosciuto «leggende di santi bevitori», quell’alzare il
gomito della domenica pomeriggio quando, cantati i
Vespri, i nostri uomini i fàa ‘l gir da le céze, quasi conti-
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nuando un rito liturgico, concedendosi una meritata ri-
creazione dalle dure fatiche della settimana.
In quel contesto, tra gioco delle carte, commenti
sportivi, approcci di contratti agricoli, si potevano
ascoltare espressioni che, in tono scherzoso, mettevano
in guardia dal potere del vino, dai suoi effetti speciali,
con una auto-raccomandazione, peraltro disattesa, a
non dargli troppa confidenza: Cal vi ché ‘l ciapa; l’è ‘n vi
da la bàsa che sa taja col curtèl; gh’è mia tant da daga dal te;
95 Tanti (cioè soldi) ne prende, tanti ne sperpera nel bere.
96 I pranzi di nozze, i giorni della sagra, la merenda dei muratori quando la costru-
zione di un edificio aveva raggiunto il tetto.
97 Ha fatto un eccessivo atto di intemperanza.
98 Facevano “il giro delle chiese”, detto ironicamente per “il giro delle osterie del
paese”.
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