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L’ustaréa 74
La cultura dell’osteria si sviluppava tra i due poli
del riposo creativo e della socialità costruttiva e, all’in-
terno di un paese, faceva da specchio alla locale condi-
zione umana. Era l’esclusiva casa degli uomini, come
tale riconosciuta e come tale rigorosamente frequentata
dal solo ceto maschile, dove l’oste, con calma assoluta
e sicurezza di sé, svolgeva il ruolo di grande regista
della scena e di psicologo della situazione.
Nelle osterie di lunga tradizione si potevano tro-
vare tutti gli arnesi del mestiere che vogliamo ricordare
come veri e propri cimeli con i loro sensi figurati e le
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trasposizioni metaforiche. La bóta, regina delle cantine,
ispirava l’immagine di una condizione ben protetta: L’è
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‘n da na bóta da fèr! si diceva di una persona che aveva
trovato una sistemazione sicura; interventi ben mirati
e risolutori, in diversi settori della vita, facevano dire:
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An culp al sirc e ü a la bóta, mentre l’espressione La bóta
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piena e la dóna cióca alludeva a due beni impossibili da
ottenere in contemporanea. Anche le due aperture, il
cocchiume, chiuso con un grosso tappo per cavare
grandi quantitativi, e il rubinetto, impiegato per dosare
piccole misure, avevano ispirato il proverbio: al tègn a
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mà da la spina e ’l móla dal cucù con allusione a persone
74 L’osteria.
75 La botte.
76 È in una botte di ferro.
77 Un colpo al cerchio e uno alla botte.
78 La botte piena e la moglie ubriaca.
79 Risparmia dal rubinetto e scialacqua dal cocchiume.
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