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sco, complice l’incipiente stagione autunnale, si vuo-
tava nei tini o nelle botti dove doveva restare per 10
giorni con tutto il residuo della pigiatura: le göse, le gra-
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spe, i vinasói. Nelle prime 48 ore al vi ‘l buìa, per effetto
di una fermentazione tumultuosa, e per tre giorni bizu-
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gnàa fulà, cioè rimescolarlo con l’aiuto di forconi per
riamalgamare con il mosto le vinacce che tendevano a
venire in superficie.
Intanto, dopo la fermentazione, si interveniva
sulle vinacce, che venivano passate al torchio con l’ag-
giunta di acqua per produrre un vino di discreta qua-
lità, più leggero e dal rosso più intenso denominato ‘l
secùnt o ‘l turciàt, mentre aggiungendo del vino della
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prima pigiatutura, si otteneva il cosiddetto al mes-ciàt, 57
due vini che non venivano imbottigliati, ma si consu-
mavano entro l’estate successiva, travasati in fiasch e bu-
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tigliù . Le botti che contenevano mosto venivano
invece sigillate perché il vino non inacidisse a contatto
con l’aria: due detti calendariali ne fissavano la cura: a
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San Martì stòpa ‘l tò i, e anche: A Nedàl cumincia a ta-
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53 Bucce, graspi e semi contenuti negli acini dell’uva.
54 Ribolliva.
55 Bisognava rimestare e premere sul fondo.
56 Il “secondo”, cioè il vino di seconda spremitura o il “torchiato”.
57 Il mes-ciàt è il vino uscito dalla torchiatura delle vinacce mescolato con mosto di
prima spremitura.
58 Fiaschi e grandi bottiglie da due litri.
59 “A San Martino copri il tuo vino”. La festa di San Martino, che ricorre l’11 novem-
bre, era assai importante nella cultura contadina perché, cessati i lavori della cam-
pagna, era fissata in questo giorno la scadenza dei contratti di lavoro agricolo
dipendente e ciò comportava anche dei traslochi da cascina a cascina.
60 “A Natale incomincia ad assaggiarlo”.
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