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con il classico metodo del ladre, un tubo di gomma
che, affondato nelle botti e nelle damigiane faceva fuo-
ruscire il prezioso liquido per effetto dei vasi comuni-
canti, riempiendo le bottiglie. Una consolidata
tradizione voleva che fosse alla luna nuova di Pasqua,
in una giornata serena, fredda e non ventosa: osti e con-
tadini sapevano che in caso di luna calante il vino sa-
rebbe stato fermo, mentre con la luna crescente avrebbe
spumeggiato al momento della stappatura.
Le bottiglie, che erano state accuratamente ripulite
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con la trazéa, sassolini, sabbia e pallini di schioppo,
agitati nelle pareti interne per una energica operazione
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sulle incrostazioni, venivano tappate con i turàciui ba-
gnati in basso con olio e, a imbottigliamento concluso,
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ricoperti in alto con pece fusa, la cosiddetta pìgula, e
quindi collocate in cantina, in piedi nella sabbia, mentre
nelle case di piccoli agricoltori trovavano il loro posto
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ideale nel camarì, il sottoscala fresco per l’unica aper-
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tura a tramontana, oppure nella salèta, la stanza atti-
gua alla cucina arredata con i mobili migliori, che
ospitava i pranzi delle grandi occasioni.
68 Canna di materiale flessibile per trasferire liquidi da un recipiente ad un altro.
69 Pallini da caccia o minutaglia, insieme di piccoli oggetti di scarso valore.
70 Tappi di sughero.
71 Pece che, riscaldata, si scioglieva e subito si rapprendeva come la cera.
72 Il sottoscala. Spesso, per mantenerlo fresco, si piantava un albero ricco di fogliame
che proteggeva dai raggi solari l’unica finestrella posta a settentrione.
73 Spesso l’ambiente grande a pianterreno delle case di campagna veniva suddiviso
da una parete con divisori, anche di legno compensato, per ottenere due ambienti:
una piccola cucina riscaldata dal camino e un ambiente più grande non riscaldato
e con l’arredo migliore, detto la salèta.
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