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di merende gli canticchiassero, con gli ammiccamenti
            del caso, uno stornello adattato ad personam:
                  Pitòst che tó la dóna, me tóde ‘l butigliù.
                  La dóna l’è bèla l’è buna, ma ‘l vi l’è püsé bu! 14
                  Un altro canto, che si poteva ascoltare da compa-
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            gnie giovanili o da coscritti ai dé da la ìsita, inneggiava
            in toni goliardici alla libertà di ubriachezza a spese di
            una già precaria economia domestica:
                  E ‘nfin ch ‘l düra ‘l bursì dal vècio,
                  ohé che cióche, ohé che cióche!  16
                  e prevedendo le conseguenze disastrose di una
            tale dichiarazione d’intenti, la canzone concludeva:
                  E se só cióc menìm a ca’,
                  menìm a ca có la carèta! 17
                  Se poi si passa a considerare il vino in relazione al
            mondo culinario dei pasti quotidiani, dei pranzi delle
            feste o delle merende di svago, soprattutto la borghesia
            agricola e le migliori osterie del paese amavano sinto-
            nizzare i piatti di stagione con i vini più adatti dando
            vita ad eccellenti mariages, che ispiravano i detti:
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                  Pa che canta, vi che salta, furmai che pians! 19




            14  Piuttosto che prender moglie, acquisto il bottiglione: la donna è bella e buona, ma
              il vino è ancor migliore.
            15  Nei giorni della visita di leva militare.
            16  E fin che dura il borsellino del papà, avanti con le ubriacature, avanti con le ubria-
              cature!
            17  E se sarò ubriaco mi porterete a casa, mi porterete a casa su una carriola.
            18  In francese ”matrimoni”, senso figurato per indicare che un determinato vino si
              sposa bene con certi sapori.
            19  Pane che canta (per la fragranza), vino che salta (per l’effervescenza), formaggio
              che piange (perché rilascia i suoi gustosi umori).



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