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Le ìde 23
La storia locale attribuisce al monastero di San Be-
nedetto, che aveva molte proprietà in Offanengo, e ai
cistercensi di Abbadia Cerreto il merito di aver inse-
gnato ai cremaschi le tecniche della coltivazione viti-
cola. La stessa regola benedettina assegnava al monaco
una pinta di vino al giorno (oltre un litro), per ritem-
prarlo dei lavori manuali, senza dimenticare che nella
farmacopea conventuale il vino mescolato con erbe era
usato come medicinale. In realtà fin dall’epoca longo-
barda, le prescrizioni dell’editto di Rotari, recepite più
tardi negli statuti comunali, consideravano le vigne una
sorta di spazio sacro e come tali erano protette.
Va detto che fino all’unità d’Italia il nostro paesag-
gio cremasco si presentava assai differente rispetto a
quello che siamo abituati a osservare ai nostri giorni.
La presenza delle viti era diffusa in enorme quantità e
in modo capillare: vi erano vigneti veri e propri in spazi
chiusi da siepi e tutelati da furti e scorrerie; broli colti-
vati a vite, pergolati appoggiati a filari di alberi, che nel
sistema della piantata medioevale circondavano i
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campi. Erano le cosiddette ìde maridàde i cui rami ve-
nivano fissati a tutori arborei soprattutto di olmi, aceri,
pioppi e gelsi, con robuste e flessibili stròpe da sàles. 25
Il vino riceveva le sue qualità in riferimento alla
natura dei suoli estremamente variabili nel Cremasco:
23 Le viti e la viticultura.
24 I vitigni coniugati con sostegni arborei.
25 I rami flessibili dei salici.
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